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Il primo club di Marco Baltieri

Luigi Cerovetti è una figura di passaggio, che collega il fascino della tradizione valsesiana, fatta di gesti eleganti, di abilità e di efficacia, a un nuovo tipo di socialità e di mobilità sul territorio, tipica del secondo dopoguerra. A partire dal 1946 raccoglie intorno a sè un folto gruppo di appassionati che si costituiscono come Club Morettiani Pescatori a Mosca (affiliato alla FIPS nel 1956), con ogni probabilità il primo raggruppamento di moschisti in Italia(qui a lato una foto di gruppo con al centro Moretto), già nel nome legato al ruolo carismatico del fondatore e, quindi, custode della tradizione valsesiana. L'attività del Club è subito intensa, fatta di tanti incontri domenicali occasionati dalle gare (dove si incontrano inglesi e valsesiane), sempre coronati, nella trattoria vicino al fiume, dalle lunghe tavolate riempite dai famigliari dei pescatori appartenenti ai quattro o cinque sodalizi che in quegli anni si erano formati (i Morettiani, il CIPM, l'Amo d'Oro, i moschisti di Ivrea e di Biella). Moretto, pur avendo una intensa attività di artigiano, è soprattutto un pescatore e non apre mai un negozio (Gonetto ricorda che un grosso magazzino torinese di sport gli aveva offerto di curare il settore pesca, ma che poi la sua scarsa assiduità aveva fatto andare a monte il progetto).Con i Morettiani assistiamo, di fatto, all'eclisse della valsesiana tradizionale: la tecnica inglese si va diffondendo e conquista sempre di più gli appassionati; nelle gare di pesca a mosca vengono messe delle limitazioni in fatto di attrezzatura, escludendo, le lunghe canne senza mulinello (per altro spesso ormai di fibra di vetro); nascono addirittura delle forme ibride, come la “anglo-valsesiana”, una canna lunga e flessibile, ma dotata di anelli e mulinello. Sul mensile della Sezione torinese della FIPS, “Il pescasportivo piemontese”, viene pubblicato nel febbraio del '67 un interessante confronto tra il nostro Moretto e Cesare Martini, istruttore del CIPM e apprezzato artigiano costruttore di canne, lenze e mosche. Tutti e due rivendicano il loro radicamento nelle tradizioni regionali. Per Martini i miei maestri furono quei stupendi pescatori di S. Mauro Torinese che adottavano il classico tipo di pesca a mosca alla “piemontese” con una canna lunga circa 6 mt. a cui veniva fissata una lenza in crine di cavallo lunga 15-18 mt.; mentre Moretto afferma di aver sempre pescato a mosca; fin da bambino nella Valsesia dove sono cresciuto osservavo quei bravissimi pescatori che sono i valsesiani e da loro appresi tutti quei segreti. Nel confronto tra i due sistemi, inglese e valsesiano, Martini ritiene il primo più adatto psicologicamente al mio temperamento di sportivo, mentre per Moretto nei torrenti di montagna è molto più redditizia la valsesiana. Il confronto prosegue analizzando le differenze tra le due tecniche nel lancio, nella passata e nella ferrata, spingendosi poi a considerazioni molto moderne sulla necessità di limitazioni drastiche alle tecniche di pesca e al numero di catture e auspicando la creazione di percorsi riservati alla mosca.Finisco con una breve considerazione: in una situazione come quella attuale, in una realtà fatta di “pescatori senza fiumi e fiumi senza pescatori”, in tempi simili è possibile pensare che la semplicità, la povertà di una valsesiana possano ancora essere uno spunto di riflessione? È possibile riprendere ad “ascoltare” i pescatori dei tempi passati? Che, forse, non hanno più nulla da insegnarci, ma che, sicuramente, si augurano di poterci di nuovo accompagnare lungo le rive dei “nostri” fiumi.

Questa piccola storia della pesca a mosca a Torino non avrebbe potuto essere scritta senza l'aiuto e le testimonianze di Adriano Cerovetti e di Renato Gonetto, che ringrazio ancora una volta.